Pringles e #solocosebelle

Mi sono approcciata alla distopia di The Giver di Lois Lowry in prima istanza attraverso il film con Jeff Bridges e Meryl Streep. Sgranocchiate le immancabili Pringles ho subito cominciato a formulare pensieri profondi quali "Quelli delle Pringles non speculano sulla vendita di aria come quelli della San Carlo" e ancora, mangiando l'ultima, "Tutte le gioie finiscono" e così, ritenendomi definitivamente ispirata dalla pellicola, ho deciso di volgere le mie attenzioni all'omonimo romanzo ed ho, per l'ennesima volta, percepito l'effettività della legge universale per cui "il libro è sempre meglio del film". Il fatto che il romanzo sia rivolto ad un pubblico adolescente non dovrebbe immediatamente legarsi all'idea di una lettura semplice: nella cornice di una società dove libri e sentimenti sono banditi e il desiderio viene soppresso da pillole, dove curiosità e interesse sono sinonimi di indiscrezione e termini come "amore"  risultano "così privi di significato da essere caduti in disuso", il protagonista dodicenne Jonas scopre, seguendo le istruzioni relative alla professione prescelta per lui dal Consiglio della sua Comunità, che un tempo e Altrove emozioni, colori e diversità non solo erano consentiti ma anche celebrati. Il confronto tra la società di tanto e tanto tempo fa e quella in cui vive risulta sconvolgente per Jonas: proprio svolgendo la sua mansione di raccoglitore di memorie più o meno piacevoli dal Donatore, il protagonista si troverà ben presto a fare i conti con l'isolamento e l'incomprensione, dovuti ad un approccio alla vita più maturo e profondo, meno spensierato rispetto a quello dei coetanei e dei membri adulti della società (che si pongono come istruttori e non come educatori, come custodi e non come protettori nei confronti dei ragazzi). In questo sentimento di totale solitudine la vicenda di Jonas risulta assimilabile a quella di qualsiasi adolescente e allo stesso modo anche l'approccio alla morte e il desiderio di ribellione segnano un punto di svolta fondamentale per la sua crescita. Credo che la parola chiave di questo romanzo sia, appunto, "crescita": Jonas cresce come il lettore, che ha affrontato o affronterà presto o tardi il confronto con la realtà di sorrisi plastici e artefatte convenzioni sociali quasi incomprensibili. Perché tante barriere? Perché tanti taboo? La potenza di questi capitoli sta nella capacità dell'autrice di far riflettere sulla società odierna attraverso la rappresentazione di una società distopica: a mio avviso sono pochi i romanzi del genere capaci di lasciare un segno così profondo nel lettore.  Lo stile semplice e l'accurata scelta di un lessico pregnante e minuziosamente selezionato rendono inevitabile l'immediatezza della riflessione su temi quali eutanasia, diversità, sessualità, libero arbitrio, isolamento.

"Le cose potrebbero cambiare, Gabe. (...) Potrebbero essere diverse. Non so come, ma dev'esserci pure un modo per cambiarle. Potrebbero esserci i colori. E i nonni. (...) E tutti avrebbero le memorie. Tu sai delle memorie. (...) Potrebbe esserci amore."


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